Niente di fatto per la Cop25, conclusasi lo scorso 15 dicembre a Madrid: inizialmente nata con l’obiettivo di individuare misure condivise contro i cambiamenti climatici, non è riuscita a raggiungere gli obiettivi prefissati, nonostante le proteste in tutto il mondo, a cominciare dagli scioperi degli studenti, guidati dall’attivista svedese Greta Thunberg. In particolare, l’aspetto più contestato è il sostanziale rinvio dei nodi più controversi al 2020, quando si terrà la Cop26 di Glasgow, in Scozia.
Due settimane di negoziati, quindi, per arrivare a un nulla di fatto. Unica, piccola ma importante vittoria, quella dei Paesi più esposti a eventi meteo estremi e che rischiano addirittura la sopravvivenza, come alcune piccole isole del Pacifico, che hanno costretto i Paesi più ricchi a dichiarare già il prossimo anno gli impegni in tema di diminuzione dei gas serra, da raggiungere entro il 2030.
I prossimi dodici mesi, tuttavia, saranno fondamentali per preservare la sostanza e gli obiettivi dell’Accordo di Parigi: il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha dichiarato di essere “deluso” dal risultato emerso dalla Cop25, esortando la comunità internazionale ad avere più coraggio. Secondo una nota diffusa da WWF Italia, “quella che è stata forse la più lunga sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sul Clima delle Nazioni Unite si è conclusa con i Paesi più inquinanti – Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Giappone, Brasile, Arabia Saudita e altri – che si sono sottratti alla loro responsabilità di ridurre le emissioni di gas serra, bloccando progressi significativi a Madrid”.
Nel 2020, quindi, tornano sul tavolo due tematiche cruciali: gli aiuti dei Paesi ricchi a quelli più vulnerabili, che sono anche i meno responsabili dell’emissione di gas serra nell’atmosfera, e la definizione delle regole sul mercato globale del carbonio.
“Serve più coraggio nell’affrontare la drammatica questione dei cambiamenti climatici. Gli effetti disastrosi sono sotto gli occhi di tutti, così come restano sostanzialmente inascoltati gli allarmi lanciati dalla scienza, ormai su base quotidiana. Diventa necessaria un’assunzione di responsabilità, in particolare dei Paesi più ricchi i cui modelli di produzione rappresentano oggi la maggiore causa di immissione di Co2 nell’atmosfera”.
Antonio Carmine Vitale
(Amministratore unico Enega srl)
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